[Nota: Questo breve saggio è stato scritto in omaggio a Umberto Eco in occasione del suo sessantesimo compleanno. Eco aveva appena condotto un seminario di un anno sul Parmenide di Platone; la mia modesta preparazione filosofica non mi permetteva di espormi con un saggio sull'essere, e così l'ho travestito da saggio di pragmatica. Eco, lui, il saggio sull'essere l'ha poi scritto in Kant e l'ornitorinco (1997). Oltre che dal pensiero di Eco il saggio trae ispirazione da alcune idee di Freud, il quale perņ compare solo in nota perché in ambiente semiotico non andava affatto di moda.]

Bruno Bassi (bruno@brunobassi.it)
Non

...giacché quello che si dice non essere non per questo si conosce meno.
(Platone, Parmenide, 160c)

Una teoria del significato deve essere in grado di integrare semantica e pragmatica. Questa affermazione, che troviamo in Semiotica e filosofia del linguaggio (Eco 1984:69) è uno dei principi fondamentali di tutta la semiotica di Eco, almeno dal Trattato (Eco 1975) in avanti, e viene ribadita con forza nel recente I limiti dell'interpretazione (Eco 1990). A essa è collegata molto da vicino l'idea di una rappresentazione del significato in formato enciclopedico, per cui un termine non è associato a un "concetto", come nella linguistica tradizionale, ma alle sue "istruzioni per l'uso", ovvero alle istruzioni per la sua inserzione contestuale.

Questo principio si è rivelato estremamente fecondo nell'analisi semantica, e ha consentito di impostare una prospettiva semiotica generale unitaria, superando certe divisioni tradizionali come quella che voleva il linguaggio naturale radicalmente distinto dagli altri sistemi di segni, o quella fra termini categorematici come unici portatori di significato e termini sincategorematici come semplici dispositivi sintattici.

Esempi paradigmatici di questa svolta sono l'analisi del significato di gesti deittici come un dito puntato (Eco 1975), di termini sincategorematici come "invece" (Eco 1979), di fenomeni tradizionalmente ritenuti di competenza della pragmatica, come le presupposizioni ("Sulla presupposizione", in Eco 1990). [1]

Il presente scritto riprenderà alcune considerazioni contenute in quest'ultimo saggio per tentare di inquadrare in una prospettiva testuale alcuni aspetti del fenomeno semiotico della negazione.

1. La negazione viene considerata per lo più un operatore logico formale (in connettivo) che serve a invertire il valore di verità dell'enunciato a cui si applica. Anteponendo non a un enunciato vero ne otteniamo uno falso, e viceversa.

Dal punto di vista di una semiotica testuale questa immagine della negazione non soddisfa pienamente, in quanto non rende conto della funzione della negazione all'interno del discorso. Come è stato osservato da diversi autori [2], la negazione serve spesso nel linguaggio naturale a opporsi a qualcosa di precedentemente detto.

Nella conversazione quotidiana, la negazione è utilizzata sovente per contestare qualche affermazione dell'interlocutore, o per rispondere a una domanda o a una richiesta. Può anche essere usata, con l'aiuto di particolari strategie retoriche, per opporsi a qualcosa che l'interlocutore non ha effettivamente affermato o domandato, ma solo lasciato intendere per mezzo di un'allusione, o di una presupposizione (cfr. Eco 1990, Sp). Lo stesso utilizzo si può notare in altri registri discorsivi, dalla narrativa al discorso scientifico di carattere argomentativo.

In tutti questi casi l'uso della negazione è legato a un'opposizione attiva, a un rifiuto, nei confronti di un contenuto presente nel contesto del discorso, manifestato in maniera più o meno esplicita. E' precisamente di questa funzione polemica che il trattamento logico formale della negazione non appare in grado di tenere conto [3].

Non è comunque necessario che una negazione, per essere discorsivamente tale, venga espressa sotto forma di un enunciato contenente un morfema negativo, come non, nessuno, o il prefisso in- [4]. Al pari di altre operazioni semiotiche, come il domandare o il richiedere, essa può essere manifestata in maniera indiretta (cfr. Searle 1975, Moeschler 1982). "Hai visto i miei occhiali?" "Se li avessi visti, te l'avrei detto." "Giuseppe è scapolo?" "E' felicemente sposato da anni."

2. Sembra ovvio affermare che questo carattere polemico non è associato in ogni caso all'uso di enunciati negativi. A questo proposito, Ducrot (1972:47) distingue due diverse funzioni della negazione all'interno delle lingue naturali, esemplificate dalle frasi seguenti:

(1) Non c'è una nuvola in cielo.

(2) Questo muro non è bianco.

Secondo Ducrot, la negazione contenuta in (1) è, il più delle volte, puramente descrittiva, serve per descrivere il cielo. Al contrario, (2) non si addice affatto a descrivere il muro in questione, di cui in effetti dice ben poco, ma può essere usato solo per contestare un'affermazione precedente. Si tratterebbe quindi di un'affermazione metalinguistica, di un enunciato che verte su un enunciato (Ducrot 1972:48). E' questo uso della negazione ad avere carattere polemico. Per quanto il termine "metalinguistico" sia usato qui in maniera discutibile [5], esso rende decisamente bene l'idea: viene negato qualcosa che era stato detto in precedenza.

La distinzione è ragionevolissima, ma osservandola da vicino appare piuttosto sfumata. Un esempio: potrei usare (2) per far notare (polemicamente) all'imbianchino, che avrebbe dovuto dipingere il muro, che il suo lavoro non è ancora terminato; questi naturalmente non ha mai pensato di affermare che il muro sia bianco. In questo caso, nota Ducrot, io semplicemente gli "presto" l'affermazione. Ma così la mia negazione diventa una negazione metalinguistica di un enunciato immaginario.

Prestiti a parte, se riteniamo che a venire negato debba essere un elemento del contesto, potremo spiegare la polemicità della negazione con il fatto che essa rileva un contrasto con un'aspettativa: l'assunzione di un imbianchino comporta, in maniera piuttosto codificata, l'aspettativa contestuale che i muri finiscano per assumere un colore chiaro e uniforme. La negazione polemica è negazione di un enunciato virtuale, il cui contenuto è presente nel contesto in modo più o meno esplicito o diretto. Se non è stato detto, è perché non ce n'era bisogno.

Considerazioni di questo genere ci possono indurre ad ammettere una nozione ampia di contesto, che accolga fra l'altro tutte le aspettative e le possibilità di sviluppo relative a una situazione, e tutte le loro implicazioni. Tuttavia in questo caso la distinzione netta fra i due tipi di negazione rischia di dissolversi. Prendiamo di nuovo l'enunciato (1): mi alzo al mattino, mi avvicino alla finestra stirandomi le membra, ed esclamo: "Non c'è una nuvola in cielo". Per quale ragione misteriosa il mio enunciato ha forma negativa? E' evidente che (1) descrive una situazione statisticamente inusuale, che contraddice un'aspettativa comune: di solito, qua e là, almeno qualche nuvola c'è.

Il contesto dovrebbe a questo punto includere anche questa aspettativa, e molte altre, da "Tutti gli uomini non sposati sono scapoli" a "In Elm Street ci sono case di mattoni rossi". Oppure riconosciamo semplicemente alla negazione polemica il valore di potersi opporre a qualunque nozione enciclopedica.

3. Comunque sia, in ragionamenti come questo si ha l'impressione che il contesto venga invocato, come una parola magica, ogni volta che si presenta una situazione problematica. Sembra che la spiegazione del funzionamento di un enunciato venga ricondotta a forza alla presenza di qualche elemento particolare nel contesto.

Che ci siano casi nei quali questo modo di considerare il contesto è fuorviante, è mostrato dall'analisi delle presupposizioni. L'idea di base dell'approccio tradizionale a questo problema è che per poter emettere un enunciato presupposizionale sia necessario che il contesto di enunciazione (o il mondo) ne soddisfi i presupposti; altrimenti, o l'enunciato è falso o privo di senso (nella visione analitica), oppure la sua emissione è "infelice" (nella visione pragmatica). Un'analisi più attenta mostra come si diano casi in cui è l'enunciato stesso a imporre le proprie presupposizioni sul contesto, che per suo conto non le soddisfaceva. Le presupposizioni vanno a collocarsi sullo sfondo del discorso, e questo fra l'altro conferisce loro un forte potenziale di manipolazione, la capacità di introdurre surrettiziamente nel contesto elementi che saranno contestabili soltanto attraverso il ricorso a complesse strategie metalinguistiche [6].

Eco osserva in proposito che "è riduttivo considerare il rapporto fra parola e contesto come una determinazione a senso unico, in cui il contesto precedente restringe le scelte lessicali e seleziona i termini appropriati, definendo le loro condizioni d'uso... Quello fra termine e contesto è un rapporto a doppio senso, dal contesto al termine e dal termine al contesto." (Eco 1990:282, Sp). Lo stesso si può dire per quanto riguarda il rapporto fra enunciato e contesto.

4. Sulla scia di queste considerazioni, possiamo vedere anche nell'uso della negazione un dispositivo che consente di agire sullo sfondo del discorso. Entro in ufficio ed esclamo ad alta voce:

(3) Oggi il treno non era in ritardo.

Ebbene, il mio enunciato lascia intendere che quel treno solitamente è in ritardo, anche a chi non sappia nulla di questa sua consuetudine. Quest'ultima informazione viene veicolata da (3) parallelamente al suo contenuto letterale, e introdotta sullo sfondo in maniera simile al contenuto presupposizionale.

In un romanzo giallo, un personaggio estraneo alla vicenda e quindi insospettabile dichiara all'improvviso: "Non sono stato io!". A partire da quel momento, entrerà inevitabilmente a far parte della lista dei possibili colpevoli. La sua dichiarazione di innocenza introduce nel contesto, in posizione di sfondo, la possibilità della sua colpevolezza; l'una o l'altra avrà un qualche rilievo nelle "deduzioni" del detective.

Ora, è certo che l'uso della negazione (come quello della presupposizione) appaia più "naturale" o immediato nei casi in cui ciò che viene negato (o presupposto) è già presente nel contesto, o comunque è noto o considerato possibile da parte dei partecipanti all'interazione. Negli anni Sessanta Peter Wason ha condotto una serie di esperimenti per studiare i tempi di reazione a enunciati negativi. Questi esperimenti hanno mostrato che nei casi in cui l'enunciato affermativo corrispondente non era già in qualche modo disponibile ai soggetti, questi impiegavano un tempo addizionale, dedicato alla sua ricostruzione, per poter interpretare la negazione. "E' come se fosse necessario riacquistare la presupposizione affermativa prima di poter capire il significato della negazione" (Wason e Johnson-Laird 1972).

Eppure, nonostante questo surplus di lavoro interpretativo impiegato nella ricostruzione della cornice di sfondo, i soggetti svolgevano comunque il compito, con disinvoltura e senza errori. E questo conferma che per la comprensione di una negazione, o per riconoscere il suo carattere polemico, non è affatto necessario che essa faccia riferimento al contesto o all'enciclopedia. Una negazione è polemica, in primo luogo, in quanto si pone come tale, introducendo nel contesto la possibilità di ciò che essa nega. E' come se dicesse: "non è così, anche se si potrebbe pensare che lo è" [7]. L'emissione di una negazione polemica appare così dotata di uno specifico potere posizionale (cfr. Eco 1990, Sp).

E' curioso come i segnali di divieto, quali "non fumare", invoglino molte persone a compiere proprio l'azione proibita. E gli esempi si possono facilmente moltiplicare. Alcuni anni fa, non ricordo quale uomo politico italiano, colpito da un'accusa comparsa su un giornale a tiratura piuttosto limitata, ha scelto come tribuna per la smentita un importante quotidiano nazionale.  La maggior parte dei suoi lettori era all'oscuro dell'accusa originale; l'effetto principale di quella smentita è stato tutto sommato la divulgazione della tesi degli accusatori, vale a dire dell'enunciato negato.

La consapevolezza di questi meccanismi è alla base di iniziative più smaliziate. Il governo Cossiga ha evitato a suo tempo di riconoscere un ruolo politico al terrorismo, ben sapendo che il fatto stesso di negare e confutare le tesi delle Brigate Rosse avrebbe conferito alla loro ideologia un grado di "realtà" che quel governo giudicava indesiderabile.

5. Un punto centrale della nostra discussione è stato il ruolo del contesto nell'economia della comunicazione. Esso, da un lato, determina le possibilità di comunicare, impone limiti a ciò che può essere o non essere detto. Ma allo stesso tempo ogni singolo enunciato può essere in grado di agire sullo sfondo e sovvertire il contesto, anziché semplicemente accrescerlo con l'aggiunta di nuova informazione; in certi casi può scatenare retroattivamente nuove interpretazione degli enunciati precedenti. Credo che chi, molto tempo fa, sollevava alla guerriglia semiologica avesse già in mente questa serie di possibilità [8].

Il fatto di mettere in evidenza questi aspetti del linguaggio ha un'importanza che va oltre la conoscenza teorica astratta e assume un significato politico. Una semiotica matura e consapevole delle potenzialità del linguaggio può fare e fa di questa sua consapevolezza uno strumento di critica linguistica e sociale, senza porsi come disciplina esoterica né tralasciare l'opera di divulgazione e il lavoro educativo. E' su questo terreno che si gioca il suo ruolo all'interno della cultura. Ed è in questa chiave che va letta anche l'ultima produzione di Eco, dalla saggistica agli scritti di attualità, fino alla narrativa.

6. E se io, entrando in ufficio, esclamassi "Oggi il treno era in orario!"?

Si tratta di un'affermazione, eppure sembra manifestare tutte le caratteristiche che abbiamo attribuito a (3), suo sinonimo. Entrambi questi enunciati introducono sullo sfondo l'aspettativa, tradita, del loro contrario. In effetti c'era da aspettarselo: sapevamo dalla logica formale che qualsiasi affermazione è equivalente alla negazione della sua negazione.

E' come se tutto quello che abbiamo detto a proposito della negazione riguardasse dopo tutto qualcos'altro. Di cosa abbiamo dunque parlato? Probabilmente di una caratteristica costante delle nostre interazioni comunicative, nelle quali "uno non dice mai esplicitamente ciò che considera un elemento scontato e pacifico della conoscenza o dell'esperienza dell'interlocutore. Io non direi mai a nessuno 'Questa stanza ha dei muri', a meno che la cosa non sia dubbia" (Bruner 1986:104). E se per caso lo dicessi insinuerei il dubbio, e il dubbio altro non è se non il pensiero che ciò che affermo potrebbe anche non essere. Credo che si tratti, in definitiva, di una maniera di leggere le affermazioni del Parmenide circa la compenetrazione reciproca dell'essere e del non essere. Affermazioni che ci suggeriscono ormai che tale compenetrazione potrebbe, forse, non esserci.

Bisogna dunque che ... [ciò che non è] abbia l'essere non essente ... appunto come ciò che è ... deve avere il non essere non essente... Dunque ciò che è partecipa del non essere, e ciò che non è dell'essere.
(Platone, Parmenide, 162a)

Note

[1] Il saggio "Sulla presupposizione" è la rielaborazione di un lavoro precedente svolto da Eco in collaborazione con Patrizia Violi. Tutti i riferimenti a questo saggio (che abbrevieremo con Sp)sono pertanto da intendersi come puntatori indiretti a Eco e Violi 1987.

[2] Per esempio Ducrot 1972, Wason e Johnson-Laird 1972, Eco 1990 (Sp); per altri riferimenti cfr. Gazdar 1979.

[3] Queste caratteristiche dell'operazione di negazione hanno portato alcuni studiosi a riconoscervi uno specifico atto linguistico, che è stato chiamato atto di refutazione (cfr. Moeschler 1982).

[4] Notiamo di passaggio che la negazione non è di appannaggio esclusivo del linguaggio naturale. Operatori di negazione sono presenti in sistemi semiotici non linguistici, per esempio nei segnali stradali. Altri sistemi semiotici, come i sogni freudiani, ne sono privi.

[5] L'uso del termine "metalinguistico" andrebbe meglio limitato alle negazioni de dicto rivolte alla legittimità d'uso di certi termini, poiché una negazione de re sembra verte sul contenuto di un enunciato, o meglio su una sua parte, piuttosto che sull'enunciato stesso (cfr. anche Moeschler 1982, Eco 1990 Sp).

[6] Per questa discussione, cfr. Eco 1990 (Sp), da cui il seguente esempio (p. 297):
Madre: Per favore, Pierino, smetti di giocare a pallone; romperai la finestra.
Pierino (non smette e rompe la finestra).
Madre: Ah, ce l'hai fatta, finalmente!
Attraverso l'uso del verbo "farcela", la madre insinua che Pierino intendesse rompere il vetro.

[7] Secondo Freud, la negazione viene usata dai pazienti in analisi per prendere coscienza di un contenuto rimosso senza però aderirvi intellettualmente. "'Lei domanda chi possa essere questa persona del sogno. Non è mia madre.' Noi rettifichiamo: dunque è la madre... La negazione è un modo di prendere coscienza del rimosso... La condanna è il sostituto intellettuale della rimozione, il suo 'no' un contrassegno della stessa, un certificato d'origine, all'incirca come il 'made in Germany'." (Freud 1925)

[8] "E' questo un aspetto 'rivoluzionario' della coscienza semiologica, tanto più importante in quanto (in un'era in cui le comunicazioni di massa si presentano spesso come la manifestazione di un dominio che ribadisce il controllo sociale attraverso la pianificazione della trasmissione di messaggi), là dove appare impossibile alterare le modalità dell'emittenza o la forma dei messaggi, rimane possibile (come in un'ideale 'guerriglia' semiologica) mutare le circostanze alla luce delle quali i destinatari sceglieranno i propri codici di lettura." (Eco 1968:417)

Riferimenti bibliografici

Bruner, Jerome
1986: Actual Minds, Possible Worlds, Cambridge (MA), Harvard University Press (tr. it. La mente a più dimensioni, Bari, Laterza, 1988).

Ducrot, Oswald
1972: Dire et ne pas dire, Paris, Hermann (tr. it. Dire e non dire, Roma, Officina, 1979).

Eco, Umberto
1968: La struttura assente, Milano, Bompiani.
1975: Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani.
1979: Lector in fabula, Milano, Bompiani.
1984: Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi.
1990: I limiti dell'interpretazione, Milano, Bompiani.

Eco, Umberto e Violi, Patrizia
1987: "Instructional Semantics for Presuppositions", Semiotica 64, 1-2, 1-39 (tr. it. parz. "Sulla presupposizione", in Eco 1990).

Freud, Sigmund
1925: "Die Verneinung", Imago 11/3, pp. 217-21 (tr. it. "La negazione", in Opere, vol. 10, Torino, Boringhieri, 1967, 197-201).

Gazdar, Gerald
1979: Pragmatics, New York, Academic Press.

Grice, H. Paul
1967: "Logic and Conversation", in Peter Cole e Jerry L. Morgan (eds.), Syntax and Semantics - Speech Acts - New York, Academic Press, 1975, 41-48 (tr. it. in Marina Sbisà [ed.], Gli atti linguistici, Milano Feltrinelli, 1978, 199-219).

Moeschler, Jacques
1982: Dire et contredire, Berne, Lang.

Searle, John R.
1975: "Indirect Speech Acts", in Peter Cole e Jerry L. Morgan (eds.), Syntax and Semantics - Speech Acts - New York, Academic Press, 1975, 59-82 (tr. it. in Marina Sbisà [ed.], Gli atti linguistici, Milano Feltrinelli, 1978, 252-80).

Wason e Johnson-Laird
1972: Psychology of Reasoning, London, Batsford (tr. it. Psicologia del ragionamento, Firenze, Martello-Giunti, 1977).


Questo scritto è stato pubblicato in: Semiotica: storia teoria interpretazione, a cura di Patrizia Magli, Giovanni Manetti e Patrizia Violi, Milano, Bompiani. 1992.