[Nota: questo è un breve saggio inedito del 1993, dedicato al commento di alcuni aspetti delle idee esposte da Geoge Landow nel suo volume Ipertesto del 1992.]

Bruno Bassi (bruno@brunobassi.it)
L'ipertesto e il futuro della scrittura (1993)

Molti studiosi che hanno lavorato con l'ipertesto ritengono che l'introduzione di questa tecnologia costituisca un evento di importanza storica paragonabile all'introduzione della tipografia a caratteri mobili, che apre la strada a una radicale riconfigurazione della pratica della scrittura così come la conosciamo, e delle nostre concezioni riguardo alla testualità, alla narratività e al ruolo dell'autore. In particolare, vale la pena di ricordare alcune delle tesi proposte in Ipertesto di George P. Landow (1992), un volume interamente dedicato alla convergenza fra la teoria letteraria contemporanea e la tecnologia ipertestuale nel proporre e incoraggiare una tale riconfigurazione.

La tesi principale di Landow è che in diverse aree della cultura contemporanea sia in atto una tendenza di trasformazione della pratica della scrittura, e che in particolare vadano in questa direzione la tecnologia ipertestuale e la teoria letteraria poststrutturalista e decostruzionista, sebbene si tratti di due campi del sapere ben lontani fra loro. Ecco alcuni dei punti in cui, secondo Landow, si articola questa convergenza:

Come si vede, le affermazioni di Landow, a cui speriamo di avere fatto sufficiente giustizia in questo breve riassunto, pongono le questioni relative all'ipertesto al centro di una serie di dibattiti recenti intorno alla testualità, alla lettura e all'interpretazione. La discussione dettagliata di questi punti, e di quelli che non abbiamo menzionato, meriterebbe uno spazio più ampio; in questa sede ci limitiamo a alcune considerazioni intorno alla definizione di ipertesto che Landow assume nel corso del suo libro.

L'ipertesto, per come il termine verrà usato nelle pagine che seguono, è un testo composto da blocchi di testo - che Barthes chiama lessìe - e da collegamenti elettronici fra questi blocchi.
(Landow 1992, pag. 6)

Secondo Landow, nella transizione dal testo all'ipertesto attualmente in atto si possono distinguere adattamenti ipertestuali di opere scritte secondo canoni tipografici da opere concepite sin dall'inizio per una presentazione ipertestuale (Landow 1992, pagg. 43-51). Gli adattamenti di opere a stampa si possono distinguere a loro volta in base alla strategia di adattamento adottata: in alcuni casi viene conservata l'organizzazione sequenziale dell'originale, associandovi una costellazione di altri testi, fra cui commenti critici e varianti testuali; se invece il testo originale è già frammentato in unità discrete e presenta una organizzazione implicitamente non sequenziale, è possibile riprodurre la frammentazione e esplicitare i collegamenti tra i frammenti [3]; una terza possibilità è "imporre a un'opera la nostra propria suddivisione, alla maniera del trattamento che Barthes fa di 'Sarrasine' in S/Z" (pag. 50). In tutti questi casi, la concezione di ipertesto proposta da Landow comporta che il testo che viene accolto entro un sistema ipertestuale debba presentarsi come frammentato in piccoli blocchi, da ciascuno dei quali si irradiano collegamenti. Ma a nostro avviso questa non è una nozione di ipertesto generalmente accettata; si tratterebbe piuttosto di distinguere fra diverse categorie di ipertesti. Molti ipertesti su CD-ROM presentano effettivamente nodi di dimensioni ridotte e un testo altamente frammentato; si adeguano tuttavia bonariamente agli standard della tradizione tipografica sotto altri aspetti: si tratta in genere di opere scritte da un autore o da un gruppo di autori, curate da un editor, distribuite mediante disseminazione di copie intese per uso personale, collocate in ambienti relativamente chiusi rispetto all'intervento diretto del lettore sul testo. Essi non sembrano pertanto costituire buoni esempi in vista della trasformazione culturale auspicata da Landow:

Un sistema ipertestuale completo, al contrario di un libro e al contrario delle prime approssimazioni all'ipertesto disponibili attualmente sul mercato (HyperCard, Guide), offre lo stesso ambiente al lettore e all'autore. Quindi, aprendo il programma per l'elaborazione di testi, o editor, come lo si chiama, potete prendere appunti, o potete scrivere contro le mie interpretazioni, contro il mio testo. Anche se non potete cambiare il mio testo, potete scrivere una risposta e collegarla al mio documento.
(Landow 1992, pag. 9)

La concezione di ipertesto che Landow ha in mente sembra piuttosto avvicinarsi a quello che abbiao chiamato altrove iper-biblioteca (Bassi 1994), un ambiente telematicamente distribuito, unico per tutti gli utenti, dove ciascun utente può essere scrilettore a pieno titolo, e lasciare tracce visibili da tutti gli altri utenti della rete. Ma anche un sistema di iper-biblioteca potrebbe non rispondere alle caratteristiche descritte da Landow per l'ipertesto. Per esempio il progetto di Ted Nelson (1990) non sembra richiedere che i documenti accolti nel sistema debbano adattarsi a una organizzazione frammentata: l'ambiente di lettura e scrittura generalizzate sognato da questo autore dovrebbe poter accogliere testi di qualunque forma; anche i documenti sequenziali dovrebbero dunque potervi trovare una collocazione. E in effetti non si vede perché un sistema progettato per costituire un supporto generalizzato alla pratica di scrittura dovrebbe vincolare chi scrive a frammentare il proprio testo in un grande numero di unità discrete. Può darsi che Landow sia nel giusto affermando che è in atto una tendenza culturale verso la frammentazione della scrittura; tuttavia, un sistema informatico dovrebbe, a nostro avviso, consentire questa frammentazione, ma non imporla come vincolo ai suoi utenti. Una simile imposizione si verifica di fatto in molti sistemi ipertestuali presenti oggi sul mercato, che dispongono di strumenti assai poveri per quanto riguarda l'elaborazione di testo sequenziale.

Da dove proviene dunque la concezione di ipertesto proposta da Landow? Come emerge dalla lettura del suo libro, questa concezione rispecchia molto da vicino la struttura di Intermedia, il sistema ipertestuale utilizzato per anni da Landow nella sua attività di insegnamento e di ricerca. Questo eccellente sistema, sviluppato presso l'IRIS (Institute for Research in Information and Scholarship) della Brown University negli anni '80, è stato completamente abbandonato nel 1992, essendo divenuto praticamente inutilizzabile per ragioni di compatibilità del software (vedi Landow 1992, p. 253). Intermedia era un sistema distribuito multiutente, in cui tutti gli utenti autorizzati potevano inserire testi propri e creare collegamenti a testi altrui. Nel corso dell'attività didattica di alcuni docenti della Brown, Intermedia è stato usato con estremo profitto come sistema di iper-biblioteca. E' dall'architettura e dall'interfaccia di questo sistema, e in definitiva dalle scelte dei suoi progettisti, che Landow trae buona parte delle caratteristiche che propone come tratti distintivi dell'ipertestualità, fra cui l'incoraggiamento a comporre testi altamente frammentati.

Anche altre posizioni di Landow sugli ipertesti sembrano dipendere strettamente da aspetti progettuali di Intermedia. Consideriamo ad esempio le sue affermazioni sulla dissoluzione dell'unità testuale: quando Landow afferma che, grazie alla presenza di collegamenti intertestuali, l'ipertesto "dissolve l'idea della separazione intellettuale di un testo dagli altri" [4], è difficile non pensare al fatto che nell'interfaccia di Intermedia, per scelta progettuale, non esistono differenze visibili fra collegamenti intra- e intertestuali. Non è affatto detto che i sistemi ipertestuali che si affermeranno in futuro debbano seguire la strada indicata dai progettisti di Intermedia. Altri progettisti potrebbero benissimo scegliere di introdurre nei loro sistemi di iper-biblioteca due tipi distinti di collegamenti, il primo per rappresentare i rimandi interni a una singola opera, e il secondo per i rimandi a altre opere; in un sistema di quel genere l'effetto di dispersione dell'unità testuale potrebbe rivelarsi ben più attenuato di quanto Landow non supponga.

E' interessante chiedersi per quale ragione Landow tenda a limitare la sua concezione teorica dell'ipertesto alle caratteristiche di un sistema ipertestuale specifico. Una risposta facile a questa domanda sarebbe attribuire a questo autore un approccio ingenuo nei confronti della tecnologia, e supporre che egli, facendo uso di Intermedia per lungo tempo, ne abbia introiettate le caratteristiche fino a darle per scontate. In effetti la tendenza a dare per scontato quanto ci viene proposto dalla tecnologia, e a considerare il funzionamento degli oggetti tecnologici di cui facciamo uso come qualcosa di necessario, eventualmente dettato da oscure ragioni tecniche, è un rischio in agguato non soltanto nell'ambito della pratica quotidiana, ma anche negli approcci umanistici a problematiche tecnologiche. Tuttavia non sembra essere questo il caso di Landow, il cui studio dimostra un alto livello di consapevolezza nei confronti di questi aspetti.

Piuttosto, Landow nel suo elogio dell'ipertesto sembra ricorrere alle caratteristiche di Intermedia soprattutto perché attribuisce a quelle caratteristiche un grande valore politico in vista di una certa direzione di evoluzione culturale. Egli è molto esplicito nel considerare l'ipertesto come una tecnologia che può aiutarci a superare una lunga serie di aspetti indesiderabili della nostra civiltà. Ad esempio, i sistemi ipertestuali distribuiti possono accrescere notevolmente la possibilità di comunicazione accademica interdisciplinare, contribuendo a evitare casi di eccessiva settorialità nell'educazione universitaria. Inoltre, un ambiente informatico 'democratico' dedicato alla scrittura, alla lettura e alla diffusione editoriale, in cui un autore possa collegare i propri scritti a qualunque testo altrui, appare una valida e interessante alternativa a un circuito di produzione editoriale tradizionale, che spesso assume la forma di un sistema chiuso in sé stesso, fondato sul monopolio di poche grandi aziende (Landow 1992, pagg. 192-193).

Ora, anche l'insistenza di Landow su una definizione di ipertesto che implica frammentazione del testo e offuscamento dell'unità testuale sembra avere un aspetto politico. Questa insistenza ha così strettamente a che fare con il suo grande interesse per le teorie testuali che propongono caratteristiche di questo genere per la testualità, che la si può intendere chiaramente come una lancia spezzata a favore di queste teorie. Ma una grande differenza fra Landow e personaggi quali Derrida o Hillis Miller, a cui egli si rifà abbondantemente, è che il lavoro di questi ultimi si rivolge, sia pure con toni polemici, a una tradizione accademica, filosofica e critica, di riflessione sulla testualità, mentre quello di Landow è un discorso sulla tecnologia, che si rivolge anche a progettisti e utenti di sistemi informatici. L'opera di Landow offre al discorso di questi teorici una interessante possibilità di ingresso nella pratica quotidiana di uso di una famiglia di applicazioni informatiche, dal momento che essa può essere intesa anche come un insieme di indicazioni di progettazione, e può come tale influenzare la forma di futuri sistemi ipertestuali.

Quello che non emerge chiaramente dal libro di Landow, e che dovrebbe essere posto in primo piano in una discussione sulla scrittura ipertestuale, è che presunte caratteristiche dell'ipertesto quali la frammentazione del testo e la dissoluzione del ruolo dell'autore sono questioni che dipendono strettamente da scelte progettuali adottate nello sviluppo di specifici sistemi informatici. L'aspetto dell'ipertesto su cui ci pare più importante insistere nella fase attuale dello sviluppo di questa tecnologia è che esistono ancora svariate direzioni di evoluzione possibili. Appare quindi di grande importanza, nell'uso e nella valutazione dei sistemi ipertestuali, tenere presente questa possibile apertura. In altri termini, può essere fuorviante oggi ipostatizzare una serie di caratteristiche degli ipertesti e dedurre da queste la possibilità di un'evoluzione della pratica della scrittura in un senso o nell'altro. L'ipertesto è prima di tutto ciò che noi, come progettisti e come utenti, vogliamo farlo diventare. Prima di cristallizzarlo in un insieme di definizioni, sarebbe dunque opportuno esaminare apertamente tutte le alternative possibili.

Note

[1] Vedi ad esempio Derrida 1972a; 1972b.

[2] "Il collegamento ipertestuale colloca il testo che si sta leggendo al centro dell'universo testuale, creando così un nuovo tipo di gerarchia, in cui il potere del centro domina quello dell'infinita periferia. Ma poiché nell'ipertesto quel centro è sempre un centro virtuale, temporaneo e de-centrabile - creato in altri termini soltanto dall'atto di leggere quel particolare testo - esso non tiranneggia mai altri aspetti della rete alla maniera di un testo stampato.... Il marginale ha tanto da offrire quanto il centrale. Non soltanto l'ipertesto ridefinisce il centrale, rifiutando di assicurare centralità ad alcunché, a qualunque lessìa, per più del tempo in cui lo sguardo vi si posa. Nell'ipertesto la centralità, come la bellezza e l'importanza, risiede nella mente dell'osservatore" (Landow 1992, pagg. 80, 85).

[3] E' questo il caso del poema di Tennyson In Memoriam, pubblicato in un adattamento ipertestuale da Landow e alcuni suoi collaboratori.

[4] "La singola lessìa ipertestuale, che ha legami più deboli, o meno determinanti, con le altre lessìe della stessa opera ... si trova associata anche a testo creato da altri autori. Di fatto, essa è associata a qualunque testo le venga collegato, e dissolve così l'idea della separazione intellettuale di un testo dagli altri, così come certi composti chimici distruggono la membrana delle cellule di un organismo ... Un altro aspetto correlato del collegamento elettronico: esso disperde 'il' testo in altri testi. Quando una singola lessìa perde la sua separazione fisica e intellettuale per via del collegamento elettronico ad altre lessìe, si trova dispersa in esse. Il fatto di situare singole unità di lettura entro una rete di percorsi facilmente navigabili genera necessariamente una contestualità e una intertestualità che intrecciano più strettamente fra loro i testi, compresi quelli di autori diversi e quelli realizzati con media non verbali. Un effetto di questo processo è di indebolire e forse distruggere qualunque senso di unicità testuale" (Landow 1992, p.65).

Riferimenti

Bachtin, Michail
1929 Problemy poetiki Dostoevskogo (tr. it. Dostoevskij, Torino, Einaudi, 1968).

Barthes, Roland
1970 S/Z, Paris, Seuil (tr. it. S/Z, Torino, Einaudi, 1973).

Bassi, Bruno
1994 La progettazione dell'ipertesto - Semiotica sperimentale e teorie per l'informatica, Tesi di Dottorato in Semiotica, Università di Bologna.

Derrida, Jacques
1972a La dissémination, Paris, Seuil. (tr. it. La disseminazione, Milano, Jaca Book, 1989).
1972b "Signature événement contexte", in Marges de la philosophie, Paris, Minuit (tr. it. "Firma evento contesto", Aut-aut 217-18, gennaio-aprile 1987, pp. 177-99).

Greif, Irene (ed.)
1988 Computer-Supported Cooperative Work: A Book of Readings, San Mateo (CA), Kaufmann.

Landow, George P.
1992 Hypertext - The Convergence of Contemporary Critical Theory and Technology, Baltimore and London, Johns Hopkins U. P. (tr. it. Ipertesto, Bologna, Baskerville, 1993).

Nelson, Theodor H.
1990 Literary Machines 90.1, Mindful Press, Sausalito (CA) (tr. it. Literary Machines 90.1, Padova, Muzzio, 1992).

Rorty, Richard
1979 Philosophy and the Mirror of Nature, Princeton, Princeton University Press (tr. it. La filosofia e lo specchio della natura, Milano, Bompiani, 1986).