[Nota: questo saggio del 1993 critica un certo approccio all'uso degli ipertesti in ambito educativo. Oggi é decisamente datato, ma può forse avere ancora qualche interesse metodologico.]

Bruno Bassi (bruno@brunobassi.it)
Ipertesti e pratica educativa (1993)

Dal punto di vista dell’educazione ... è più importante il modo di dire le cose che il possesso di verità.
(Richard Rorty, La filosofia e lo specchio della natura)

Uno degli aspetti su cui si insiste da più parti nella recente pedagogia è l’opportunità di far rientrare esplicitamente e praticamente nell’educazione, scolastica e non, un lavoro sistematico e accurato su un ampio ventaglio di pratiche comunicative e sistemi di significazione. All’attenzione alla comunicazione scritta si affianca così, tanto per cominciare, un’educazione alla comunicazione visiva e audiovisiva e alla comunicazione musicale. In un volume in cui, ovviamente, questa tendenza trova ampio riscontro (vedi fra gli altri i saggi di Burkhardt, Fontanille e Marconi), sembra il caso di prendere in considerazione un’altra forma di comunicazione che negli ultimi anni si sta esplicitamente proponendo come mezzo educativo, e che effettivamente apre interessanti prospettive in questo campo: la comunicazione ipertestuale e multimediale.

Questo saggio propone alcune considerazioni sull’uso dell’ipertesto in ambito educativo, senza pretendere di fornire una trattazione sistematica del problema. Nella prima parte raccolgo alcune brevi notizie sull’ipertesto, a uso dei lettori che non abbiano confidenza con questa tecnologia, e faccio cenno ai suoi principali utilizzi in campo educativo. Nella parte finale propongo una discussione di carattere teorico e metodologico sulla maniera di intendere le relazioni fra ipertesto, pratica educativa e problematiche cognitive.

1. I sistemi a ipertesto sono strumenti informatici che hanno destato negli ultimi anni un notevole interesse anche in campo umanistico. Il termine ‘ipertesto’ è stato coniato da Ted Nelson negli anni ’60, e ha raggiunto una grossa risonanza internazionale soprattutto in seguito al convegno Hypertext’87, svoltosi negli Stati Uniti nel novembre del 1987 (ACM 1987).

La gestazione di questa tecnologia è durata alcune decine di anni. La letteratura del settore fa risalire l’idea di ipertesto a un articolo di Vannevar Bush del 1945, "As We May Think", in cui l’autore, per risolvere i problemi di reperibilità dell’informazione connessi alla proliferazione di pubblicazioni in campo scientifico, prefigurava un congegno per l’archiviazione e la consultazione individuale di documenti. Questo congegno, chiamato ‘memex’, avrebbe dovuto essere grande quanto una scrivania, e immagazzinare i documenti (libri, immagini ecc.) utilizzando come supporto i microfilm (la tecnologia informatica era allora ai suoi albori). Il memex avrebbe dovuto consentire di collegare i documenti fra loro con criteri associativi, e di costruire percorsi basati su questi collegamenti.

I primi veri e propri progetti di ipertesto informatico si devono a Douglas Engelbart e a Ted Nelson, e sono stati intrapresi negli anni Sessanta. Intorno alla metà degli anni Ottanta, grazie anche allo sviluppo raggiunto dall’informatica personale, sono stati sviluppati sistemi ipertestuali come Guide, HyperCard, Hyperties, che hanno conosciuto una grossa diffusione. Oggi esistono sul mercato molte decine di sistemi ipertestuali ampiamente utilizzati. Si riscontra inoltre la tendenza a introdurre caratteristiche di stampo ipertestuale nei sistemi operativi e nei word processor.

Presentare l’ipertesto esclusivamente come una risorsa tecnologica può tuttavia essere molto riduttivo, anche perché non esistono definizioni complete e soddisfacenti di questo concetto dal punto di vista formale o da quello informatico. E’ un fatto interessante che tutte le presentazioni di questa tecnologia ricorrano in primo luogo a definizioni effettuate in termini di organizzazione testuale. L’ipertesto viene tipicamente definito attraverso un confronto con un cosiddetto ‘testo tradizionale’ che ha alcune caratteristiche presentate come poco desiderabili: il testo tradizionale è sequenziale, statico, non interattivo; l’ipertesto offrirebbe invece qualcosa in più, un’altra dimensione. In breve, mentre le frasi e le pagine di un libro cartaceo si susseguono sequenzialmente una dopo l’altra, le parti di un ipertesto sono collegate fra loro a rete, generalmente in base a affinità semantiche; il lettore-scrittore naviga l’ipertesto scegliendo in ogni momento la pagina successiva a cui passare, ed è libero di manipolare il testo e i collegamenti per suo uso personale. In queste discussioni il termine ‘testo’ rimanda generalmente a testi multimediali, ossia a testi costruiti su una varietà di sistemi semiotici, e non esclusivamente al testo in lingua naturale, il cui trattamento è comunque considerato di importanza predominante.

In genere l’organizzazione testuale non sequenziale propria dell’ipertesto è rappresentata nella forma di un grafo. I nodi di questo grafo contengono testo (multimediale), e i suoi collegamenti consentono di passare da un nodo all’altro. I nodi possono contenere dati di qualsiasi tipo: testo linguistico scritto, immagini, animazioni, filmati, suoni, giochi e altre situazioni interattive, nonché agganci a applicazioni informatiche esterne all’ambiente ipertestuale. Il testo linguistico contenuto in un unico nodo è generalmente sequenziale, e lo stesso vale per filmati o sequenze di suoni; la non sequenzialità emerge dalla molteplicità dei collegamenti. I collegamenti esprimono solitamente connessioni semantiche fra il testo dei nodi collegati.

Partendo dal nodo visualizzato sullo schermo in un dato momento, l’utente di un sistema ipertestuale informatico può seguire i collegamenti che partono da quel nodo per passare a altri nodi di argomento correlato. I collegamenti sono rappresentati da zone sensibili dello schermo, dall’aspetto di bottoni, di icone o di espressioni altrimenti evidenziate (ad esempio, parole sottolineate): facendo clic con il mouse su una zona sensibile che rappresenta la partenza di un collegamento compare immediatamente sullo schermo il nodo che sta all’altra estremità di quel collegamento. A seconda del sistema ipertestuale che si utilizza, i punti di partenza e di arrivo di un collegamento possono coincidere con un intero nodo o con una sua parte.

2. Il fatto che i sistemi ipertestuali offrano grandi potenzialità in ambito educativo è quasi un luogo comune nella letteratura specializzata. Uno degli elementi principali che producono queste potenzialità è il fatto che l’ipertesto ponga il suo utente in un ruolo molto più attivo di quello del lettore di un libro stampato. Il lettore di un ipertesto informatico si trova infatti a fruire il testo che legge in una maniera radicalmente diversa. Questo lettore si trova a agire all’interno di un ambiente interattivo, nel quale può compiere una serie di operazioni non consentite dai supporti semiotici non informatici.

In primo luogo, il lettore può godere di alcuni tipici vantaggi dell’interattività informatica, non specifici dell’ipertesto ma disponibili anche su comuni programmi di word processing. Per esempio, in alcuni sistemi può intervenire sul formato del testo, adeguandolo alle proprie preferenze, e può fare uso di strumenti di ricerca di varia complessità e raffinatezza.

I principali aspetti interattivi specifici dell’ipertesto sembrano essere da un lato l’accesso diretto, immediato, ai testi collegati a ciascun singolo nodo ipertestuale, e dall’altro la possibilità di inserire testi propri nella base di dati, collegandoli a quelli già esistenti.

In ogni caso, il modo in cui gli aspetti interattivi dell’ipertesto incidono sui processi di lettura e scrittura può variare notevolmente a seconda di fattori quali: le dimensioni della base di dati ipertestuale; la capacità o meno del sistema di gestire contemporaneamente l’accesso di più utenti; l’interfaccia utente del sistema.

Un ruolo di particolare importanza a questo proposito è svolto dagli strumenti di navigazione messi a disposizione dal sistema, strumenti progettati per facilitare l’individuazione delle informazioni e ridurre il rischio che il lettore si smarrisca all’interno della rete testuale. In particolare, alcuni sistemi ipertestuali possono offrire al lettore una mappa (browser) dell’ipertesto, strumenti di ricerca basati su richieste esplicite dell’utente, e percorsi preferenziali di lettura.

3. L’ipertesto può essere proficuamente utilizzato in ambito educativo in svariati modi, che raggrupperei in due grandi categorie, distinguendo da un lato l’uso di ipertesti come sussidi didattici che sostituiscano o integrino sussidi tradizionali (come il libro di testo o l’audiovisivo), e dall’altro la creazione di ipertesti per la comunicazione fra gli studenti e per la presentazione di ricerche svolte dalla classe.

Per quanto riguarda il primo punto, l’ipertesto viene usato già oggi in modo massiccio come supporto per la pubblicazione di opere didattiche, divulgative e documentarie; oltre a fare uso di ipertesti preconfezionati e pubblicati, gli insegnanti possono creare autonomamente ipertesti per i propri studenti. In molti casi l’ipertesto si presenta infatti come un buon candidato a sostituire o a integrare i tradizionali libro di testo. In campo didattico, le opere ipertestuali hanno il grosso vantaggio di poter presentare allo studente percorsi di lettura differenziati, e consentirgli quindi un approccio esplorativo alla materia. Il collegamento ipertestuale porta inoltre con sé la possibilità di istituire percorsi fortemente interdisciplinari senza compromettere l’autonomia dei singoli argomenti. Oltre a essere usato direttamente dagli allievi, l’ipertesto può essere usato autonomamente dall’insegnante come strumento di presentazione durante le lezioni, e può rivelarsi particolarmente valido nei casi in cui l’insegnante desidera fare uso di dati multimediali, cosa che accade particolarmente spesso nell’insegnamento di materie come la storia dell’arte o la musica.

L’idea di coinvolgere gli studenti nel lavoro di progettazione e creazione di un ipertesto si presenta come un’attività ben diversa dall’utilizzo a fini di studio di pubblicazioni ipertestuali. Se ben coordinata, questa attività sembra stimolare positivamente gli studenti al lavoro di gruppo e facilitare la comunicazione fra di essi su argomenti relativi alle materie di insegnamento. Esperienze di questo genere possono essere svolte a qualunque livello scolastico. Per un esempio di questo tipo di lavoro nella scuola elementare, vedi Culotta Leccioli (1991). Landow (1993) descrive con grande ricchezza di dettagli un simile uso dell’ipertesto per l’insegnamento di materie letterarie in ambito universitario.

4. Di fronte all’ipertesto e al suo utilizzo in ambito educativo si possono assumere atteggiamenti intellettuali molto diversi fra loro. Qui vorrei prendere in considerazione due tendenze in opposizione reciproca che emergono dalla letteratura sull’argomento, e che differiscono riguardo alla metafora di base a cui assimilare questi oggetti tecnologicamente innovativi. Per ridurre queste due tendenze a slogan, si può dire che passa una grossa differenza fra un’immagine sociolinguistica e una cognitivista dell’ipertesto. Nel primo caso l’ipertesto viene trattato come una tecnologia della comunicazione usata per produrre testi; in questa prospettiva l’ipertesto, indipendentemente dalla sua presunta innovatività, è un medium fra gli altri, e come tale viene trattato. Una linea di pensiero alternativa a questa tende a vedere l’ipertesto come tramite di un tipo di comunicazione privilegiato, che rispecchia il funzionamento del pensiero umano e consente una comunicazione ‘trasparente’.

Parte della letteratura sugli ipertesti risente della metafora cognitivista che assimila la mente al computer, e viceversa. Tuttavia, mentre in ambito filosofico e psicologico ci si ispira a questa metafora per indagare il funzionamento della mente, nelle discussioni sull’ipertesto essa viene utilizzata per finalità comunicative, assumendo che un mezzo di comunicazione costruito sulla base di un modello cognitivamente fondato di rappresentazione della conoscenza possa di per sé indurre una particolare efficacia comunicativa.

L’idea di considerare l’ipertesto come un modello di rappresentazione della conoscenza che rispecchia strutture cognitive compare esplicitamente in alcuni degli scritti più classici sugli ipertesti: 

La mente umana ... opera per associazioni. Dopo avere afferrato un elemento, scatta istantaneamente all’elemento successivo suggerito dall’associazione dei pensieri, secondo qualche intricata ragnatela di percorsi registrati dalle cellule del cervello.
(Bush 1945, pag. 1/49)
Il processo di pensiero non costruisce le nuove idee una per volta, partendo dal nulla e producendo ogni idea come una perla finita. Il pensiero sembra piuttosto procedere su molti fronti contemporaneamente, sviluppando e rifiutando idee a diversi livelli e su diversi punti in parallelo, ogni idea dipendendo dalle altre e contribuendo alle altre.
(Conklin 1987, pag. 32)

Questi ragionamenti proseguono suggerendo che l’ipertesto, grazie alla sua non sequenzialità, rispecchia il pensiero umano più di quanto non faccia il testo tradizionale, sequenziale.

La teoria della corrispondenza fra ipertesto e mente umana viene spesso menzionata, generalmente a partire dalle citazioni precedenti, anche in letteratura più recente. Per esempio, accade di leggere che nell’ipertesto "la sinergia sempre presente delle due dimensioni (semantico-sintattica) rappresenta probabilmente l’essenza stessa del processo cognitivo" (Varisco 1991), o che "una delle caratteristiche [dei sistemi ipermediali] ... è il collegamento associativo dei nodi di informazione, che presumibilmente rispecchia la memoria associativa umana" (Marchionini 1991).

Sebbene nella maggior parte dei casi il riferimento diretto a strutture cognitive non vada oltre frettolose menzioni di questo genere, alcuni studiosi propongono argomentazioni ben più radicali. Per esempio, Berlinguer, Meloni e Troise (1992) propongono la seguente teoria della comunicazione:

Normalmente ... la struttura degli oggetti comunicativi dipende rigidamente dalle caratteristiche di ciascun medium (ad esempio, essa è esclusivamente lineare nel caso di testo e film), e deve quindi codificare in maniera astratta e indiretta la struttura del campo di conoscenze che deve veicolare; in tal modo chi riceve il messaggio è costretto a ‘ricostruire’ (il più delle volte difficoltosamente e faticosamente) la seconda dal primo. Se le due strutture sono invece (sufficientemente) isomorfe, questo difficile lavoro di decodificazione e ricostruzione viene evitato e, conseguentemente, ne dovrebbero risultare enormemente facilitati (nonché profondamente modificati nella loro natura, come vedremo) i processi di comprensione e apprendimento.
(Berlinguer, Meloni e Troise 1992, pag. 15)

Contrariamente agli altri media, l’ipertesto consentirebbe di creare "oggetti comunicativi" che hanno una struttura "isomorfa alla struttura con cui è organizzato un determinato campo di conoscenza nella mente". Secondo gli autori, l’uso dell’ipertesto consente di "far vedere" la struttura cognitiva attraverso l’oggetto comunicativo, "ovvero rende la struttura della comunicazione ‘trasparente’ rispetto alla struttura della conoscenza". In conclusione, il sistema ipermediale presentato dagli autori "‘mostra’ direttamente la rete multidimensionale e multimodale che organizza le conoscenze stesse nella mente".

Come semiologo, resto piuttosto sconcertato da questa affermazione. L’ipertesto, se ben utilizzato, è senza dubbio un mezzo di comunicazione molto efficace, ma come è possibile ritenere che esso abbia doti telepatiche tali da trascendere qualunque opacità comunicativa, e offrire al lettore una sorta di unione mistica con la mente dell’autore?

Il sistema ipertestuale presentato dagli autori come modello di isomorfismo fra struttura della comunicazione e struttura della conoscenza si chiama Ipermappa ed è dedicato allo studio della geografia. In sintesi, questo sistema contiene una mappa del mondo a diversi livelli di scala, che lo studente può scorrere e ‘zoomare’ a piacimento, e un ipertesto di informazioni testuali collegate a punti della mappa. L’isomorfismo risiederebbe precisamente nel "collegamento tra informazioni di qualsiasi natura e la collocazione spaziale indispensabile alla loro organizzazione". Nei libri di geografia un simile isomorfismo sarebbe assente, perché queste conoscenze sarebbero "sequenzialmente allineate, e la loro collocazione strutturale va ricostruita con un esplicito e cosciente sforzo mentale, aiutato a volte, e solo parzialmente, dalle cartine degli atlanti, su cui bisogna comunque mentalmente riportare le informazioni che dà il testo, dopo averle opportunamente selezionate e riorganizzate". Dunque, l’ipertesto sarebbe più isomorfo dell’atlante cartaceo semplicemente perché nel primo le informazioni sui luoghi geografici si trovano in prossimità (a distanza di un clic) delle rappresentazioni degli stessi luoghi sulla mappa, mentre nel secondo si può accedere a esse solo attraverso procedimenti complicati (come, in genere, la consultazione all’apposito indice alfabetico).

Ora, mentre dal punto di vista tecnico la riuscita di un efficace sistema di navigazione geografico è pur sempre una conquista, non si può certo dire che dal punto di vista dell’organizzazione del contenuto ciò risulti particolarmente rivoluzionario. Dal mio punto di vista, accade semplicemente che nel passaggio dall’atlante all’Ipermappa un certo insieme di convenzioni di consultazione è stato sostituito da altre convenzioni. L’accesso diretto fra diverse zone del sistema (che corrisponde in pratica a una automatizzazione del lavoro di consultazione dell’indice) fa sì che spesso gli utenti trovino queste nuove convenzioni più comode delle altre. Questo è senz’altro un ottimo risultato; tuttavia non deve indurci a ritenere, come sembrano ritenere gli autori, che il passaggio all’ipertesto generi per questa ragione una comunicazione trasparente, priva di caratteri di convenzionalità. In realtà, è infatti ovvio che tanto l’atlante di carta quanto l’Ipermappa si prestano all’interazione con l’utente soltanto attraverso determinati insiemi di convenzioni. Per esempio, se l’utente dell’atlante di carta vuole ottenere informazioni su un luogo geografico che vede sulla mappa, può generalmente farlo ricorrendo all’apposito indice alfabetico (o, se preferisce, a un’apposita enciclopedia). Bene: allo stesso titolo, tanto per dirne una, se l’utente dell’Ipermappa vuole spostarsi "a piacere lungo le quattro direzioni cardinali", può farlo solo "cliccando sull’apposito bottone del tastierino di comando posto sotto la mappa stessa".

Sia chiaro che la ‘comodità’ dell’Ipermappa non è cosa da poco. Grazie a questa maggiore comodità e immediatezza, e grazie all’organizzazione associativa e non gerarchica dei contenuti, questo sistema può rappresentare un approccio per certi versi rivoluzionario alla pratica di insegnamento della geografia. Ma considerarlo isomorfo a una struttura mentale mi pare fuorviante, soprattutto se si attribuisce questa capacità di isomorfismo all’ipertesto nella sua generalità, indipendentemente dai contenuti di cui esso tratta. La presentazione dei contenuti di Ipermappa può forse dare un’impressione di trasparenza comunicativa, ma per rendere conto di questa impressione occorre fra l’altro osservare che, dal punto di vista della presentazione dei contenuti, il caso della geografia si presenta come particolarmente semplice. La nostra cultura ha infatti elaborato e disseminato un modello di rappresentazione geografica estremamente lineare e generalizzato, basato su pochi concetti e facilmente formalizzabile; inoltre, la geografia di livello elementare (così come è presentata nell’Ipermappa) è una materia relativamente nozionistica. Ma se tentiamo di immaginare una presentazione ipertestuale di un campo di conoscenze più complesso, e magari percorso da controversie, ci rendiamo conto non soltanto che sarebbe arduo mantenere un’illusione di trasparenza nella comunicazione, ma addirittura che una simile trasparenza potrebbe rivelarsi indesiderabile da un punto di vista educativo. Il tentativo di creare un’illusione di trasparenza della comunicazione, una sorta di trasmissione subliminale di nozioni, appare infatti strettamente legato a una forte assunzione di oggettività nei confronti delle informazioni presenti nel sistema. Tentare di presentare la comunicazione ipertestuale come ‘trasparente’ significa tendere a nascondere lo statuto comunicativo dell’ipertesto, e di conseguenza occultare la presenza di un soggetto dell’enunciazione. Lo studente che usa l’ipertesto si troverà a assimilare le nozioni che incontra come se fossero dati di fatto oggettivi, piuttosto che come informazioni riportate da un certo autore su un certo argomento, da un certo punto di vista. Ora, se il fatto che Amsterdam si trova in Olanda può essere accettabilmente insegnato e appreso come dato di fatto oggettivo, non crediamo che si possa adottare la stessa prospettiva, ad esempio, per una descrizione dei rapporti fra le pratiche esoteriche e la nascente scienza quantitativa nel corso del Seicento. Questioni di questa portata possono essere trattate solo nell’ambito di scambi esplicitamente comunicativi, tenendo presente che spesso il punto più importante nell’educazione dello studente non riguarda i dati in sé stessi, ma la capacità di comprendere e gestire la problematicità e le questioni controverse. Quando la zona del sapere coperta da un ipertesto non riguarda informazioni esclusivamente nozionistiche, appare dunque desiderabile mettere in evidenza, piuttosto che occultare, lo statuto comunicativo del sistema, ossia il fatto che esso presenta testi scritti da un autore che si prende tutta la responsabilità di quanto va raccontando. In campo educativo è di primaria importanza che la comunicazione lasci spazio all’interpretazione, la quale non è affatto un ostacolo da superare in vista della comprensione, ma piuttosto un passaggio necessario per giungere a una comprensione autentica.

In conclusione, nella nostra prospettiva l’ipertesto non è tanto uno strumento che mira a costruire rappresentazioni cognitivamente fondate del sapere, quanto un medium utilizzabile con efficacia per la circolazione delle conoscenze (vedi Barrett 1989). Il punto centrale nella progettazione e nella valutazione di un ipertesto riguarda la sua efficacia comunicativa, più che il rispecchiamento di strutture cognitive. Ciascuno psicologo è ovviamente libero di decidere se una certa rappresentazione ipertestuale di un campo del sapere (per esempio, una rappresentazione che riprende il modello geografico basato su longitudine e latitudine) sia o meno isomorfa alla rappresentazione mentale di quello stesso campo. Ma nella valutazione di un ipertesto, e della sua validità come strumento educativo, le considerazioni relative a questo presunto isomorfismo non paiono avere un ruolo determinante.

Riferimenti bibliografici

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Questo scritto è stato pubblicato in: Semiotica e educazione, numero monografico di Versus, a cura di Bruno Bassi e Mario Gennari, 1993.